Gallicianò per molti sarà un nome sconosciuto, ne sono certa. Eppure questo borgo calabro di appena 50 abitanti ha una storia unica e particolare.
Non perché abbia un passato glorioso da ricordare, ma perché il suo passato sta cercando di preservarlo in tutti i modi.
Gallicianò è infatti chiamato l’Acropoli della Magna Grecia, perché è rimasto il paese più rappresentativo dell’antica colonia greca in Calabria. Conservandone in gran parte la lingua, la musica, le danze ed il cibo.
Gallicianò sorge in posizione elevata su quella che è la vallata più spettacolare paesaggisticamente dell’Aspromonte.
Per arrivarci bisogna percorrere una strada piena di tornanti e strapiombi, con buche e spesso piccole frane. Pericolosa, ma struggente per i panorami dell’Aspromonte e per quella fiumara, laggiù in basso, che si snoda come un serpente di ghiaia.
Ed è proprio questa sua posizione isolata in un territorio impervio ad aver preservato la cultura di Gallicianò.
All’arrivo, salta subito all’occhio il testo inciso su una pietra, Gallicanò Calos Irthete. Significa benvenuti in grecanico, il dialetto greco calabro scritto in caratteri latini. Allo stesso modo sono scritti i nomi delle vie e della piazza. E certo sorprende il “Kalispera”, buonasera in greco, che gli abitanti rivolgono ai visitatori.
Non si può parlare di Gallicianò senza parlare del grecanico.
Il dialetto greco calabro, o grecanico, è un dialetto della lingua greca moderna. Fino al 500′ era parlato in tutta la Calabria meridionale, poi venne sostituito gradualmente in gran parte della zona. In particolare durante il fascismo, furono osteggiate tutte le forme dialettali a favore della lingua italiana. Il dialetto era considerato simbolo di arretratezza ed anche i maestri a scuola punivano severamente i bambini che lo usavano. Proprio in questo periodo è nata l’offesa dispregiativa: “Sembri un greco!”. Era la lingua dei pastori e dei contadini dell’Aspromonte considerati ignoranti.
Per molti anni a seguire, la minoranza linguistica grecanica è rimasta in silenzio e sconosciuta ai più per paura di mostrarsi. È curioso che sia stato un linguista tedesco, Gerhard Rohlfs, a riportare l’attenzione su di essa. Soprannominato “l’archeologo delle parole”, dedicò tutti i suoi studi e diverse pubblicazioni ai dialetti dell’Italia meridionale.
Ad oggi purtroppo, nonostante gli sforzi delle associazioni culturali, sono circa un centinaio le persone che parlano o comprendono il grecanico, la maggior parte delle quali anziane. E sono pochi i paesi in cui e1 ancora parlato: Gallicianò, Rogudi, Roccaforte del Greco e Bova Superiore e Marina. Si parla inoltre in alcuni quartieri di Reggio Calabria e a Melito di Porto Salvo dove molte persone sono emigrate.
Le associazioni, costituite da persone che hanno riportato in vita il grecanico, hanno fatto prendere coscienza a pastori e contadini della propria identità. Hanno restituito l’orgoglio a una comunità che aveva smesso di parlare in grecanico ai propri figli perché temeva che non imparassero l’italiano e rimanessero sempre isolati e derisi.
Considerati ignoranti, hanno invece nelle loro parole e nelle costruzioni di alcuni tempi verbali, tutto il patrimonio culturale della grande Magna Grecia. Sono gli ultimi parlanti di una lingua che è stata di tutta la Calabria.
Deriva probabilmente dalla Magna Grecia anche il grande senso di ospitalità degli abitanti di Gallicianò. Lo sottolineò lo scrittore inglese dell’800′ Edward Lear che visitò a piedi tutta la zona grecanica durante la sua peregrinazione per l’Italia che ha portato alla stesura di Diario di un viaggio a piedi. E anche Cesare Pavese che passò 8 mesi in esilio politico a Brancaleone.
La gente di questi paesi è di un tatto e di una cortesia che hanno una sola spiegazione: qui una volta la civiltà era greca.
Cesare Pavese
È la filoxenia della cultura greca, la solidarietà verso gli stranieri protagonista di tanti episodi dell’Iliade e dell’Odissea. L’accoglienza, caratterisca che distingue l’uomo selvaggio e senza giustizia, come diceva Ulisse, da quello ospitale e giusto. Parola molto meno conosciuta purtroppo del suo opposto, la xenofobia.
In questa zona, l’ospite non si fa entrare nel salotto buono, ma direttamente in cucina, il centro della vita della casa, dove si impasta il pane e si cucina.
La percepirai subito l’accoglienza quando giungerai a piedi alla piazzetta di Gallicianò perché non rimarrai solo a lungo. Ti verrà incontro uno dei suoi fieri abitanti, pronto ad accompagnarti per i luoghi importanti del piccolo borgo spiegandotene storia, usi e costumi.
La piccola Chiesa di San Giovanni Battista, la chiesa cattolica che si affaccia su Piazza Alimos, centro del paese.
E poi quella ortodossa, la Chiesa di Panaghìa tis Elladas (Madonna di Grecia). Piccola e intima, è stata costruita dall’architetto Domenico Nucera, Mimmo l’artista, uno degli abitanti di Gallicianò più impegnati nel mantenere la cultura ellenica, e inaugurata nel 1999. Io ho trovato proprio lui, per caso, ad accogliermi all’arrivo in piazza durante la mia visita a Gallicianò. Grazie alla presenza della chiesa è stato ripristinato il rito greco ortodosso che si svolge una volta al mese.
E poi l’antica Fontana dell’Amore, così denominata perché un tempo qui sbocciavano gli amori fra le ragazze che andavano a prendere l’acqua ed i giovani che si appostavano per guardarle.
Poi seguiva il cippitinnàu, come è chiamato ancora oggi il fidanzamento da queste parti. Si chiama così perché un tempo lo spasimante metteva un ceppo di legno bruciacchiato, u ccìppo, davanti alla porta della ragazza di cui era innamorato. Se i suoi genitori erano d’accordo con il fidanzamento, durante la notte portavano il ceppo in casa. Altrimenti lo facevano rotolare in strada.
Vicino alla chiesa ortodossa, è stato costruito un piccolo anfiteatro. Senza scena, perché il borgo e il panorama, sono già uno scenario meraviglioso.
È intitolato al Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I che ha visitato il piccolo borgo nel 2001.
Nel piccolo borgo ci sono anche la vasca, dove le donne lavavano i panni tutte insieme, ed il forno comune dove si cuoceva il pane.
Pane che dopo essere stato impastato veniva avvolto in una tela di ginestra e messo nel letto matrimoniale sotto alle coperte. Nel luogo che accoglieva anche la donna quando diveniva madre in una similitudine fra la fecondità della terra e dell’essere umano.
D’altronde per fare un pane ci vogliono 9 mesi come per fare un figlio. Si semina a ottobre e si raccoglie a luglio.
Da visitare, ancora, il piccolo Museo etnografico. Qui ci sono gli oggetti tradizionali della vita quotidiana degli abitanti di tutta l’area grecanica.
Utensili per i campi e per la cucina, tessuti fatti con le ginestre come usava da queste parti, o con la lana.
Oggetti curiosi sono le musulupare, stampi tradizionali di legno di gelso intagliati a mano dai pastori. Servivano per fare la musulupa, un formaggio tenero tipico di questa zona. Con gli stampi, spesso riproduzioni di figure antropomorfe e con decorazioni geometriche di stile greco, si “stampavano” speciali musulupe per fare un dono o per i giorni della festa, in particolare per Pasqua.
Nel museo sono presenti anche diversi strumenti musicali perché a Gallicianò la musica è arte e vita.
Gallicianò infatti, pur così piccola, è rinomata come capitale della musica. Tarantelle e musica tradizionale, da suonare, cantare e ballare. Passioni che vengono tramandate di padre in figlio. Qui suonano tutti, grandi e piccoli.
Quando tornavamo a casa da scuola ci aspettava l’organetto e ballare era il nostro divertimento. Noi nascevamo con lo strumento in mano e con il ballo nelle gambe!
Ciccio Nucera
Tre sono gli strumenti usati in questa zona: le zampogne, fatte con la pelle di capra, l’organetto ed il tamburello. Anche chi suona, balla, perché qui si dice che è tutto il corpo a suonare.
L’artista musicale Ciccio Nucera, nato qui con l’organetto in mano, ha aperto una scuola che si chiama La Tarantella crea dipendenza ed insegna a suonare e ballare a bambini ed adulti in molti paesi della zona. Fa anche tanti concerti in cui è impossibile rimanere fermi tanto la sua musica è travolgente.
È quasi impossibile percorrere le vie del borgo senza sentire il ritornello della canzone più famosa da queste parti:
Ela elamu kondà, ti ego imme manachò! (Vieni, vienimi vicino, perché io sono solo!)
Gli abitanti di Gallicianò sono sempre pronti a festeggiare, banchettare e far musica a ritmo della tarantella.
Facimmo a rota, facciamo un cerchio, perché la tarantella si balla in cerchio, dove tutti i partecipanti sono equidistanti dal centro e quindi tutti uguali.
Al centro c’è il mastro di ballo che decide le coppie di danzatori e per quanto tempo devono danzare.
Il ruolo di mastro di ballo è molto importante e lo può fare solo chi è molto introdotto socialmente nel paese perché deve conoscere, nel fare le coppie, se ci sono litigi o dissapori in atto!
Anche se gli abitanti a Gallicianò sono come una grande famiglia. Infatti nel borgo, abitato da pochissime famiglie, sono tutti parenti, e portano quasi tutti lo stesso cognome, Nucera. Ormai possono quindi distinguersi solo grazie alle ‘ngiurie, i soprannomi.
A Gallicianò non ci sono tanti negozi e ristoranti. C’è un bar emporio con pochi articoli e la Taverna greca con una bellissima terrazza affacciata sulla vallata che prepara, solo su ordinazione, i piatti tipici della zona.
I maccheroni con il sugo di capra innanzitutto. E poi la peperonata, i peperoni ripieni, le polpette di melanzane e olive e formaggio. Tutti prodotti rigorosamente locali.
Quando andare a Gallicianò
Le feste tradizionali e gli eventi culturali sono il momento migliore per poter conoscere bene le tradizioni di questo paese unico.
Festa di San Giovanni Battista, cade il 29 agosto ed è dedicata al Santo patrono del paese.
Festa Aghilux, si svolge davanti alla Chiesa di San Giovanni Battista in piazza in due diversi giorni dell’anno: alla vigilia di Natale e la sera prima del giorno dei morti. I bambini vanno in giro intorno al paese a raccogliere la legna da raccogliere davanti alla chiesa per preparare il falò che verrà acceso alla sera. Avviene dalla notte dei tempi e si attende l’alba suonando e ballando.
Paleariza, è un festival etno-culturale-musicale che si svolge tutti gli anni e prevede concerti in tutti i paesi dell’area grecanica, Gallicianò compreso.
Gallicianò è un paese davvero unico e merita di continuare a mantenere la propria cultura anche attraverso l’interesse di noi tutti. Perché non possa scomparire o venir dimenticato un così ricco patrimonio.